bdsm
Diario Gelosia Novembre 2008
di HeleneHoullier
14.07.2024 |
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"“E poi … niente … mi ha dato il numero e l’ho chiamato … tutto qua … vuoi sapere come l’abbiamo fatto!?!..."
Venticinquesimo episodioL’Università stava già lentamente, ma inesorabilmente andando in malora. Da quando si erano trasferite, Chiara non era più la studentessa modello di un tempo, e Hélène non poteva più essere aiutata da lei come era accaduto in passato; tutto si stava tremendamente complicando, e la ragazzotta in cuor suo lo sapeva. Ma se da un lato avrebbe desiderato tornare indietro, ai giorni tranquilli e un po’ noiosi del Convitto, dall’altro era terribilmente attratta dalla vita allegra e sfrenata della sua nuova residenza, col viavai di uomini e la sfrontata leggerezza delle inquiline che l’abitavano.
Lorenzo era partito la domenica stessa, dopo una sola notte, e Chiara a quanto pare ne era restata tutt’altro che desolata e affranta: aveva preso a vestirsi e a curarsi in maniera assai più ricercata nell’aspetto, come se da quel momento in poi, qualcosa in lei si fosse definitivamente sbloccato. Paula invece sembrava tutto ad un tratto più chiusa ed introversa, era come se di contro, il freddo dell’autunno e le prime gocce di pioggia l’avessero intristita ed inaridita.
Senza alcun preavviso, la sera di quel giovedì il citofono squillò in modo perentorio ed insistito. Fu proprio Hélène a rispondere, con un semplice “oui” un po’ pomposo e decisamente fuori contesto; dall’altro lato si udirono le voci di alcuni maschi, erano Marco, Costanzo e Lele che si erano presentati dopo una cena al rione, e qualche birra di troppo.
Hélène ristette nel corridoio, poi chiese scusa un istante, e lasciando la cornetta del citofono che penzolava lungo tutta la parete, corse in cucina ad avvisare Chiara, mentre Paula era chiusa in bagno.
La biondina era completamente struccata ed indossava un pantaloncino di spugna di color fucsia; fece a Hélène un gesto della mano, di non aprire la porta ai tre ragazzi: probabilmente desiderava potersi vestire e truccare meglio. Ma nel frattempo qualcuno doveva avere aperto loro l’ingresso al piano di sopra, e adesso le voci scure e profonde dei tre amici risuonavano belle nitide lungo tutta la rampa delle scale. Dopo un solo istante, suonarono alla porta, e allora Hélène dovette chiedere loro scusa una volta ancora, sussurrando qualcosa di incomprensibile mentre osservava le tre sagome buie attraverso lo spioncino.
In quel preciso momento, ebbe un sentimento strano, di minaccia e di pericolo, ed istintivamente fece ritorno in cucina, dove però non vi era più nessuno. Si avvicinò quindi alla camera da letto delle due coinquiline, e vi ritrovò Chiara nell’intento di pettinarsi e truccarsi le ciglia, in assoluta fretta. Il campanello suonò di nuovo, e allora fu Chiara stessa a sollecitarla, dicendole: “Allora? … non vai ad aprire ?!?…”.
La porta si schiuse, Hélène era vestita con una semplice tuta e non si era neppure lavata i capelli, che erano tutti legati e piuttosto sciatti; vide i tre maschi entrare uno dopo l’altro, e solamente Lele le si avvicinò sfiorandole un braccio nell’intento di mostrarle un minimo di simpatia. Li vide accomodarsi attorno al tavolo del salone, come se quella fosse stata fin da sempre, la loro casa.
Voleva rinchiudersi nella sua camera da letto, ma per farlo avrebbe dovuto attraversare la sala, e la cosa la intimidiva assai, dal momento che i tre ragazzi l’avrebbero certamente scrutata da cima a fondo, e qualcuno avrebbe anche potuto esprimere qualche commento poco carino nei suoi confronti. Per sua fortuna Paula uscì dalla doccia proprio in quell’istante, e opportunamente avvisata da Chiara, si presentò nel salone avvolta unicamente da un elegante accappatoio con motivi colorati.
Marco esordì amabilmente, esclamando: “Cavolo quanto sei sexy con quel coso addosso !!!”; lei rise di gusto, e con una mossetta fece finta di sciogliersene la cinta; ma poi la riannodò nuovamente, andando a prendere una bottiglia di vino rosso dalla cucina. Hélène in quel momento si affacciò in salone, e fu invitata da Costanzo, che mai prima d’allora l’aveva neppure presa in considerazione, a sedersi: “Tu come ti chiami?!? …”, le disse, proseguendo poi senza attendere la sua risposta, “… stasera ti tocca farci compagnia ... ci sentiamo tutti un po’ soli…”; Hélène non sapeva cosa fare, ma di nuovo fu invitata da Lele a sedersi in mezzo a loro, tra lui e lo stesso Costanzo.
In quell’istante entrò in salone anche Chiara, e chiese a Hélène con cortesia di spostarsi di lato, per potersi sedere tra lei e l’ex ragazzo di Solange alla sua sinistra.
Paula mise su un disco di musica rock, e dopo aver versato l’intera bottiglia di vino comperata al supermercato, nei sei bicchieri da cucina disposti sul tavolo, si accomodò sulle ginocchia di Marco. In quella circostanza, Chiara si ritrovò esattamente di fronte a Paula, che se ne stava seduta addosso al suo uomo; questi le carezzava le cosce tenendole una mano infilata direttamente tra i due lembi morbidi dell’accappatoio: la bella ragazza argentina non indossava assolutamente nulla di sotto, e la sua pelle del colore dell’ambra era tutta levigata e profumata di lavanda.
Ma mentre la toccava e le palpeggiava la parte alta delle cosce, Marco fissava insistentemente Chiara che era seduta lì di fronte; sembrava quasi volerle far notare, la sua manona che frugava sotto il morbido accappatoio di Paula, mentre con uno sguardo sanguigno e volitivo le teneva gli occhi addosso.
Chiara in maniera tutt’altro che timida o remissiva, prese nuovamente a fissarlo come aveva fatto pochi giorni addietro, dentro alla birreria bavarese, con le labbra leggermente schiuse. Marco a bassa voce disse: “… hai delle labbra caldissime …”; Paula gli tolse la mano, che si andava insinuando sempre più in alto verso l’inguine, e ridendo in modo rabbioso e beffardo, gli disse: “La smetti di provarci con Chiara?!? … ma non hai visto che ha il ragazzo? …”. Era forse la prima volta in assoluto nella sua vita, in cui Paula provava un senso così vivo e odioso, di travolgente gelosia.
Costanzo si volse verso Chiara, e con prudenza le domandò: “Come si chiama il tuo ragazzo?”. Questa senza pensarci un solo istante, rispose: “Non deve interessarvi … comunque si chiama Lorenzo e tra cinque minuti devo pure chiamarlo…”.
“Salutamelo tanto !!!” esclamò Marco ridendo, e senza perdere altro tempo infilò nuovamente la mano sotto il lembo dell’accappatoio di Paula, raggiungendo direttamente l’interno delle due cosce tornite e calde.
Hélène stava sorseggiando il suo bicchiere di vino rosso, ed era vagamente sovrappensiero; Lele era alla sua destra e ancora una volta si stava preparando le sue cose per poter fumare. Costanzo la chiamò in causa dicendo: “E tu invece … tu ce l’hai il ragazzo?!? …”. Hélène ristette, non si aspettava davvero una simile domanda; poi raccolse tutte le sue forze, e con tono fermo rispose: “… io … io ho avuto una storia con un ragazzo in Belgio … ma adesso no, adesso sono sola…”. “E allora stasera non scappi!” le disse Marco, mentre con la mano continuava a tastare le cosce di Paula. Hélène sentì una stretta in mezzo alle gambe, ma Costanzo la tranquillizzò: “…non dargli retta … fosse per lui tutte le sere dovrebbero finire sempre allo stesso modo!”, e si mise a ridere.
Lele si ridestò un momento, e guardando Hélène in viso, prese la parola dicendo: “… l’hai mai fatto con un ragazzo italiano?”. Costanzo allora lo apostrofò in malo modo, reagendo: “Piantatela ragazzi! … vi sembra il modo di rivolgervi ad una persona che avete conosciuto da così poco tempo?... può bastare così …”.
In quell’istante Chiara si levò in piedi, erano le dieci ed era arrivato il momento di chiamare Lorenzo al telefono; la presa di posizione di Costanzo, che aveva assunto le difese di Hélène, l’aveva decisamente colpita, e forse proprio per ricompensarlo o piuttosto per darglielo semplicemente a notare, nell’atto di allontanarsi, ella gli poggiò una mano sulla spalla, con dolcezza. Dopodiché si mosse lentamente verso la cucina ed infine si chiuse nella sua camera da letto.
Il disco era andato avanti, e adesso la musica era diventata piuttosto fastidiosa; Paula allora si liberò dalla presa di Marco, e si alzò in piedi per andare ad abbassare il volume, non voleva affatto che i vicini di casa si lamentassero una volta ancora. In quel momento anche Costanzo si alzò, con disinvoltura, e prese a girare per l’appartamento.
Hélène notò per bene la scena, e comprese come questi andasse cercando la stanza in cui si era rinchiusa Chiara; anche Marco dovette notarlo, e si fece stranamente scuro in viso, come se in cuor suo desiderasse anch’egli di poter fare altrettanto. Ma fu presto distratto nuovamente dalla bella argentina, che tornò a sedersi sopra di lui, ma stavolta a cavalcioni sulle ginocchia, abbracciandolo con energia e passione attorno alle sue spalle larghe e robuste.
Lele, che nel frattempo aveva finito di prepararsi da fumare, prese una mano di Hélène, ed invitandola ad alzarsi le disse: “Andiamo cocca … lasciamoli soli …”.
Hélène ristette un istante, ma poi con fermezza rifiutò quell’inopinato invito, cosicché Lele s’allontanò di suo conto.
Ma Marco quella sera era lievemente ubriaco e piuttosto di malumore, sapeva che Costanzo era in giro per la casa e che era sul punto di provarci con Chiara, e semplicemente non tollerava affatto l’idea, di non poterci essere lui, al suo posto; Paula gli stava sopra, con il solo accappatoio indosso, ma in quel momento il bel ragazzo italiano non riusciva proprio a provare alcun trasporto verso di lei; pensava unicamente alla bocca calda e schiusa di Chiara.
Spostò Paula di peso, e la fece sedere sulla sedia accanto a sé, dove precedentemente era stato seduto Costanzo; quella lo guardò con espressione assai infastidita, e trangugiando il suo vino gli disse: “… che diavolo ti succede guapo … sei diventato impotente allora!?! …”, e gli rise in faccia in modo alquanto violento ed offensivo. Questi dovette prenderla davvero a male, e allora levandosi in piedi la sollevò dalla sedia per un braccio, trascinandola di peso verso la cucina. Hélène vide tutta la scena, mentre Lele era già nella cameretta di lei, ed un odore assai intenso di fumo ne inondava tutto l’angusto spazio.
Lì Marco la costrinse di forza a piegarsi in avanti sul tavolaccio di legno, e con un gesto rapido le rovesciò tutto quanto l’accappatoio lungo la schiena, scoprendole per intero il sedere meraviglioso. Poi con una manata robusta e schioccante, le afferrò lo spazio in mezzo all’inguine e tra i glutei, facendola sussultare. Paula provò una sensazione di viva costrizione e di desiderio, e fu subito bagnata per bene tra le cosce.
Ma non c’era davvero alcun verso di farlo quella sera. Marco era scivolato in un delirio di gran confusione e di rabbia, ed allora in modo istintivo, ricoprì il didietro della ragazza abbassandole l’accappatoio, tirandola nuovamente su per un braccio; ed infine esclamò: “Vatti a rivestire … non mi vai proprio oggi …”.
Quella dovette provare un senso immane di fastidio, e voltatasi verso di lui, gli mollò uno schiaffone vigoroso.
Nel frattempo, Costanzo aveva trovato la porta della cameretta di Chiara, e stava ascoltando di nascosto la conversazione tra lei e Lorenzo; dopo il loro incontro a Roma quelle telefonate erano divenute adesso, spesso ricolme di domande e sempre piene di sospetti; solamente alla fine, Chiara aveva iniziato a fare quello che il suo ragazzo le chiedeva, e silenziosa sedeva sul letto con la mano sinistra infilata dentro al pantaloncino di spugna, fingendo di provare del piacere, ma senza fare troppo sul serio.
Costanzo allora spinse con delicatezza la porta, e vide nella penombra la sagoma della ragazza, seduta sul letto col telefono all'orecchio e la mano infilata tra le gambe. Ella non fece né disse nulla nel vederlo entrare, e allora lui – preso un bel po’ di coraggio – le si fece più vicino, fino a presentarsi dritto in piedi, a pochissima distanza da lei.
Chiara si tolse repentinamente la mano dalle mutandine, e con grandissima sorpresa da parte di Costanzo, fece quello che giammai lui avrebbe nemmeno immaginato: gli abbassò la cerniera dei pantaloni. Questi ristette meravigliato, era una cosa inaudita, davvero inverosimile; ma senza poi perdere un solo istante, le facilitò il compito sciogliendosi la cintura ed aprendosi per bene i due bottoni sul davanti. Venne fuori una mutanda bianca griffata, rigonfia in modo esagerato, come un pacco stretto e duro di carne compatta.
Chiara continuava a mugolare sommessamente nel telefono, in modo un po’ scontato e banale; ripeteva di continuo: “Sì … lo sento … adesso lo sento …”, e intanto con un gesto tanto deciso quanto sconsiderato, infilò la mano sinistra dentro alla bianca mutanda di Costanzo.
Il pacco chiuso e compatto era in realtà morbido e arrotolato come una ciambella; non appena lo afferrò, Chiara comprese che si trattava di un oggetto mostruosamente lungo e molle. Lo estrasse un poco alla volta, e subito si ritrovò dinanzi ad una specie di proboscide penzolante, bianca e nerboruta.
Riprese a mugolare: “sììì … sono bagnata adesso … e tu …”, ma l’unica cosa che in quel momento destava la sua attenzione, era quel membro impressionante che vibrava nell’aria a pochi centimetri da lei.
L’afferrò a metà, e mentre dall’altro capo del telefono Lorenzo aveva già preso a masturbarsi, con vivaci segni di godimento, Chiara fece altrettanto con Costanzo, e subito lo vide irrigidirsi un poco alla volta, prima alla base, e poi lungo tutta la sua smisurata estensione; in pochi secondi il grosso membro fu quasi completamente duro ed eretto.
Lo afferrò per bene, e con dolcezza iniziò a muoverlo tenendolo stretto e saldo nel palmo della sua mano; Costanzo le mise ambedue le mani sopra la testa, sui suoi capelli lunghi e biondi. Nel frattempo, Lorenzo stava ansimando, e presto sarebbe venuto in modo triste e solitario dall’altro lato del telefono. Allora Chiara prese il pene di Costanzo nel punto di mezzo, ed iniziò a masturbarlo come si deve. In quell’istante, ella prese a mugolare e a deglutire con intensità, come una bambina; Lorenzo dall’altro capo del telefono, la incitava.
Quando la telefonata finì, Chiara aveva il viso bianco e delicato tutto sporco di appiccicoso sperma, con Costanzo che l’aveva lasciata a concludere la sua amorosa conversazione, mentre nel frattempo si ripuliva nel bagno lì accanto.
Hélène era rimasta da sola in salone, e aveva visto rientrare Marco tutto scuro in volto, mentre di Paula non vi era in giro più alcuna traccia; questi si scolò il suo vino, sembrava abbastanza arrabbiato. Poi si sedette accanto a lei. Hélène arretrò tutta quanta spaventata, ma quello senza darle nemmeno il tempo di pensare, le prese un braccio portandola a sé; dopodiché con l’altra mano la prese di forza dietro alla nuca. Infine, con un movimento repentino la baciò sulle labbra, infilandole tutta quanta la lingua profonda dentro alla sua bocca, schiusa e calda.
Ventiseiesimo episodio
Nessuno avrebbe dovuto saperlo, che quello era stato il suo primo, vero, bacio alla francese. Le amiche di Hélène, ai tempi della scuola, lo chiamavano semplicemente il primo click: ed ecco che Hélène, a diciannove anni suonati, aveva avuto il suo primo click assieme ad un ragazzo italiano, davvero bellissimo, ma purtroppo completamente indifferente e totalmente disinteressato a lei; al punto che subito dopo averla baciata, le aveva persino chiesto di lasciarlo da solo.
Era stata una sensazione strana, non bella ma sicuramente emozionante; Hélène non stava nella pelle, ma tantomeno poteva rivelarlo ad alcuno: come già per il suo primo orgasmo, così anche il suo primo click sarebbe rimasto un piccolo segreto.
La serata del giovedì aveva lasciato degli strascichi difficili da ricomporre, e Paula che aveva un carattere altero e forte, aveva già dall’indomani deciso di interrompere qualsiasi rapporto con Marco. Aveva compreso benissimo, come questi fosse irresistibilmente attratto da Chiara, e la cosa semplicemente non le andava giù. Da parte sua invece, la biondina se ne stava tranquilla al suo posto e neppure ci pensava più di tanto. Tutto ad un tratto all’improvviso, i tre ragazzi avevano smesso di frequentare il loro appartamento.
Un martedì mattina, mentre usciva di casa sul tardi, e le sue coinquiline erano già fuori da un pezzo, Hélène raccolse una bustina bianca dentro alla buca della posta. Non vi era riportato alcun indirizzo, né apposto alcun francobollo; v’era solamente uno scarabocchio scritto a penna, con calligrafia rozza e inelegante, che ne citava il destinatario: per Chiara.
Hélène mise la piccola busta nella sua borsa, e mentre attendeva l’inizio della lezione di Diritto Canonico, vedendo che la sua coinquilina bionda non era ancora arrivata, ebbe un’assurda tentazione, di aprire quella busta.
Ristette per un istante, e si guardò intorno, ma di Chiara non vi era in giro ancora nessuna traccia; quando infine la lezione ebbe inizio, Hélène si rese conto che la sua coinquilina era semplicemente seduta due file più in basso, probabilmente era entrata in aula solamente all’ultimo.
Allora fece quello che giammai in cuor suo avrebbe pensato di poter fare: aprì con delicatezza la bustina, e ne estrasse un foglio scritto a mano con stile incerto. Iniziò a leggere con irresistibile stoltezza, e subito ristette meravigliata.
“Ciao Chiara, sono Marco.
Ti ho cercata su internet e alla birreria, ma niente da fare. Ma io non mi arrendo! Volevo infatti dirti, che per te manderei tutto quanto all’aria, gli amici, l’università, la mia stessa vita …
Da quando t’ho vista con quel vestitino intero addosso, non ho più smesso di desiderarti, e adesso non riesco più a pensare a nessun’altra ragazza all’infuori di te.
Lo devo confessare … la tua bocca mi fa letteralmente impazzire! … vorrei baciarla, ma soprattutto … vorrei sentirla mentre me lo scaldi, sono sicuro che ti piacerebbe :-) …
Ti lascio il mio numero 3474197521, ti prego di chiamarmi o di scrivermi, se non vuoi vedermi impazzire …”
Hélène richiuse il foglietto con le cosce che le tremavano. Lo rimise dentro alla sua piccola busta, e lo nascose in un taschino all’interno della borsetta. Poi, quando comprese di essere inesorabilmente bagnata fradicia in mezzo alle gambe, lo estrasse nuovamente, e trascrisse quel numero di telefono, così complicato e difficile, registrandolo nella sua rubrica. Adoperò un insospettabile nome francese, Pascal, in maniera da evitare qualsiasi rischio di venire scoperta.
Non contenta, mentre la lezione andava avanti ed il professore insisteva col suo tono di voce lento e monocorde, Hélène estrasse nuovamente il telefono, ed ebbe una sorta di folle idea: avrebbe spedito un messaggio a Marco, fingendo di essere Chiara. Era una vera sciocchezza, e la ragazzotta belga in cuor suo lo sapeva; ma in fondo non era stato proprio Marco a baciarla in modo futile e irruento, senza alcuna ragione? Non era forse una sua legittima possibilità, quella di sognare che quel ragazzo fosse suo, dopo essere stata baciata in maniera sciagurata e insensata?
Allora si fece coraggio, e scegliendo attentamente le parole per non rischiare di fare errori, scrisse:
“Ciao Marco, sono Chiara. Ho letto la tua lettera, mi sei simpatico, ma la mia bocca è calda solamente per il mio ragazzo :-)”
Scrisse queste parole, sapendo benissimo che si trattava di un’autentica scelleratezza. Ma voleva vedere quale sarebbe stata la reazione di Marco; ed in quell’istante, alla grande curiosità per la strana situazione, si univa un fremito bollente lungo tutta la schiena.
La risposta arrivò dopo meno di cinque minuti, e fu meno divertente di quanto Hélène avesse sperato.
“Hai fatto male a darmi il tuo numero :-) … ti tormenterò finché non lo prenderai tutto bello stretto … in quella bocca … Sto scherzando ma non troppo …”
Certamente il suo numero di telefono sarebbe stato oggetto di continui messaggi. Hélène lo comprese immediatamente; e non passarono nemmeno due ore, che Marco già riprese a scriverle, alternando frasi più delicate e gentili, ad altrettanti autentici deliri di passione, senza risparmiare a volte parole assai volgari.
“In questo momento sono arrapato come un toro da monta … è un bene per te, che io non ti sia alle spalle dolcezza mia :-) … potrei farti pentire, di essere nata femmina”
Spesso Hélène non rispondeva nemmeno, si stava lentamente rendendo conto, di essersi messa dentro l’ennesimo pasticcio.
Ben presto Marco pretese di poterla incontrare, pensando sempre che al suo posto ci fosse Chiara. Una mattina, mentre Hélène era sull’autobus diretta all’Università, il suo telefono squillò, ed era proprio lui che la cercava. Ebbe un’esitazione simile ad un attimo di panico, ma subito decise di non rispondere, non sapendo bene come gestire la situazione.
Irruente com’era, Marco insistette con nuovi ed ostinati squilli, fino al punto in cui, esasperato le scrisse: “Perché non rispondi bellezza … ho una voglia matta di schiaffartelo in bocca stamattina…”.
Hélène era sempre più preoccupata, avrebbe voluto porre fine a quel gioco così pesante e assurdamente insensato. Pensò che avrebbe potuto incontrare Marco di persona in pieno giorno per spiegargli tutto quanto, oppure mandargli un messaggio che chiarisse definitivamente le cose; ma aveva un serio timore della possibile reazione di lui, e così non fece nulla. La situazione precipitò un mercoledì sera, quando ciò che non doveva assolutamente accadere, si verificò come una sadica coincidenza: Marco incontrò Chiara sotto l’ingresso del palazzo in via Baccina.
I loro sguardi si incrociarono in modo sanguigno e violento; e subito lui le fu addosso, stringendola a sé; rotolarono giù per le scale baciandosi appassionatamente, come due amanti che non si incontravano da anni.
Lei indossava un jeans stretto e aderente; Marco le mise immediatamente una mano sul sedere, facendola subito sobbalzare. Con un ultimo tratto residuo di razionalità, Chiara lo respinse e subitaneamente suonò al campanello della porta, che si aprì. Era Hélène dietro lo spioncino, che li fissava impaurita. Ma quello filò via su per le scale, temendo che vi fosse Paula lì dentro al suo posto.
Grazie al cielo la storia dei messaggi al telefono non era venuta ancora alla luce, ma oramai Hélène sapeva che sarebbe bastato assai poco, un nuovo casuale incontro, affinché quel suo stupido gioco venisse smascherato.
Allora si fece coraggio, e tremando per le possibili conseguenze, la mattina del nove di dicembre, lo chiamò.
Ventisettesimo episodio
Quel fine settimana sarebbe stato più lungo degli altri, essendo anche il lunedì per via eccezionale, un giorno festivo. Dopo una rapida doccia Lorenzo si presentò nella piccola stanza da letto, in una squallida pensione vicino alla stazione, con il solo asciugamano indosso. Coricata sulle lenzuola, Chiara lo attendeva, nuda in un completo di morbido intimo nero. Indossava un bellissimo reggicalze, stretto e delicato, ed una specie di piccolo busto al posto del reggiseno. Le preziose mutandine di pizzo bianco, succinte e sensuali, calzavano perfettamente al loro posto.
Tra loro non v’era oramai alcuna poesia, dopo la precedente visita di Lorenzo e tutte le successive manifestazioni di assurda gelosia da parte di quest’ultimo. Chiara lo sapeva, e per tale ragione, aveva provato a tenerlo lontano dall’appartamento delle ragazze e da tutti i suoi pericoli.
Così adesso una piccola stanzetta grigia e anonima li ospitava, e senza troppa eleganza Lorenzo s’apprestava ad approcciare la sua fidanzata; questa appena lo vide uscire dal bagno, si sollevò seduta sul bordo del letto, e cingendolo alla vita, ne liberò i fianchi lasciando cadere in terra l’asciugamano ancora umido: lui era discretamente eretto, ed anche interamente fradicio di umori.
Lorenzo non era certamente un tipo cerimonioso, ed afferratala subito sulla schiena morbida, abbassò la cerniera che le chiudeva lungo il dorso il meraviglioso bustino: e lo divelse in maniera irruenta e frettolosa, liberando in un sol colpo i seni bianchi leggermente rigonfi e penzolanti di lei.
Chiara allora decise di fare piuttosto in fretta, non si sentiva particolarmente a proprio agio in quella stanzetta buia e squallida, e con la mano destra strinse il membro del suo ragazzo, iniziando ad aprirlo e chiuderlo in modo rapido e deciso; con il risultato di vederlo irrigidirsi in maniera immediata, come una trave di legno duro.
Gli mise l’altra mano sul petto, depilato e muscoloso, carezzandolo con dolcezza. Allora Lorenzo, si piegò sopra di lei, ed immediatamente concentrò la sua attenzione sull’elastico bianco delle sue mutandine.
Chiara lo aiutò respingendolo con il palmo della mano schiusa, e si liberò i fianchi tirandosele giù lungo le cosce e fino in basso alle caviglie, esibendo così senza vergogna una meravigliosa vagina profumata.
Presto Lorenzo le fu sopra, con i muscoli del petto attaccati ai suoi seni morbidi e bianchi; armeggiava con ambedue le mani in mezzo alle cosce di lei, provando a trovare la via della vagina già tutta inumidita. Chiara si fece avanti ed ancora una volta afferrò il pene di Lorenzo, robusto e rigonfio di calore, e maneggiandolo con maestria, se lo appoggiò in mezzo alle cosce, nel punto in cui le sue tenere labbra mollemente schiuse, potevano ospitarlo.
Le fu dentro in modo rapido e indolore; solamente in quell’istante, Lorenzo ebbe un sussulto di vero piacere, irrigidendosi in modo ancor più virulento e appassionato. Montò allora in posizione eretta, innalzandosi sul palmo delle mani, e come un atleta che compie delle flessioni, prese a sbatterla in modo deciso e vigoroso.
In quel frangente, in maniera piuttosto inattesa, Chiara iniziò a provare anch’essa del sano godimento. Coricata sul letto, con le cosce completamente divaricate, mugolava con la bocca leggermente aperta, gli occhi sottili schiusi per il piacere, e la vagina inondata dal membro forte e robusto del suo ragazzo.
Lorenzo era presto giunto sul punto d’impazzire; fissava il ventre ed il bacino della sua ragazza, adornato dal delicato indumento di raso scuro, con i filini tiratissimi; e di tanto in quanto, la osservava dal basso, mentre lei godeva, con il viso rivolto in su.
Andò avanti ancora, trattenendo l’imminente orgasmo con non poca fatica. Lo entusiasmava vedere la sua ragazza mugolare, nella penombra della stanza polverosa, coricata sul letto con le cosce aperte, e la bocca schiusa. Le mise le mani sui seni, stringendoli fino al punto di farle del male, e continuando a penetrarla in maniera irruenta e decisa.
Ebbe un ultimo sussulto di lucidità, ed allora dopo solamente una breve pausa per riprendere il respiro, tornò a montarla con determinazione, provando a trascinarla con sé nel vortice. Chiara ansimava e godeva, questa volta sul serio, scuoteva i fianchi e si dimenava come una femmina in calore. Il ragazzo prese ad aumentare il ritmo, compiendo flessioni ancor più ampie e decise, e vedendola arrossarsi in viso, con la bocca spalancata e i bianchi denti in bella mostra. Il pene entrava e usciva dalla vagina di lei come un pistone di legno duro, dall’alto verso il basso, in su, e in giù.
La spinse ancora per un bel po’ di tempo, finché non fu completamente gonfio di sperma e di sangue bollente; allora finalmente estrasse il pene, lungo e duro da fare spavento, e compiendo un piccolo balzo in avanti, lo impose tra i seni morbidi della sua ragazza.
Lei lo accolse senza eccessivo entusiasmo, ma era oramai troppo tardi per ripararsi: già lui aveva preso ad eiaculare in modo copioso e caldo, inondandole le guance, il collo gentile ed il viso, di seme schifoso, vivido e giallo.
Quel lunedì mattina Chiara accompagnò il suo Lorenzo a prendere il treno, dopo un’ultima scappatella consumata di fretta poco prima di uscire. Si salutarono con un bacio appassionato sul lato della banchina: si sarebbero rivisti dopo solamente due settimane, nella loro città; ma qualcosa era ineluttabilmente finito tra di loro, e Chiara lo sapeva.
E l’indomani, facendosi infinitamente coraggio, Hélène decise finalmente di telefonare a Marco; lo fece alle nove, quando le sue due coinquiline erano già uscite di casa per andare all’Università. Il martedì mattina, infatti, per coincidenza di orari, Hélène non aveva lezione prima delle dieci, quando puntuale ella si presentava in aula al cospetto del professor Guberti che insegnava Diritto Canonico.
Ma quella mattina le cose sarebbero andate diversamente.
Marco rispose al telefono dopo solamente due squilli, palesemente eccitato e meravigliato; l’accento francese ed il tono monocorde di Hélène lo fecero immediatamente ridestare. Ella esordì con non poca vergogna, dicendo con la voce che le tremava: “… no, non sono lei … non sono Chiara…”; chiunque avesse veduto la scena dall’interno dell’appartamento di Hélène, avrebbe colto l’enorme imbarazzo della ragazza belga, seduta sul divano con le gambe accavallate, e le braccia tremolanti.
“… non sono Chiara … non te la prendere …”; “… no, non era tutto uno scherzo … ma non te la prendere dai …”.
Marco era tremendamente adirato, giammai Hélène avrebbe minimamente immaginato, che la sua reazione potesse essere tanto decisa e rabbiosa. Ad un certo punto le disse: “Tu sei solo una stupida … meriteresti solamente che io venissi lì adesso … e ti dessi quello che ti sei cercata …”.
Hélène non se lo sarebbe mai aspettato, ma in quel momento, invece di continuare a provare timore, sentì nuovamente come uno scatto in mezzo alle cosce, e fu inopinatamente bagnata dentro alle sue mutandine.
“Con quelle come te … è inutile parlare !!!”, insisteva Marco, mentre Hélène dall’altro lato del telefono, tratteneva a stento il respiro, paralizzata dall’emozione più sordida e dalla voluttà più indicibile.
“Cosa posso fare per farmi perdonare …”, ebbe l’ardire di domandare, mentre oramai sentiva l’utero schiudersi ed il ventre ribollire in un mare di liquidi rigonfi e caldi.
“Cosa puoi fare!?! … eh !?!” rispose Marco, sempre più deciso. Poi dopo un solo istante, venne alle conclusioni: “Dovrei solamente venire lì, e farti un culo grosso così in maniera da farti pentire … di essere così stupida …”.
Hélène trasalì, non immaginava nemmeno che la fantasia lurida e sconsiderata di Marco, potesse arrivare ad elaborare una punizione così esagerata, giammai lei si sarebbe spinta così in là nella propria perversione.
“Adesso tu rimani lì, intanto io lo so che sei in casa …”. Come facesse a saperlo, questo Hélène non avrebbe mai potuto comprenderlo né immaginarlo. Ma a quanto pare Marco era assai ben informato sugli orari delle lezioni delle tre ragazze, passava molto tempo ad osservarle, più di quanto esse avessero potuto sospettare.
Hélène attaccò il telefono con la schiena e le gambe che le tremavano, non sapeva assolutamente cosa fare. Guardò l’orologio, erano le nove e mezza e avrebbe certamente fatto tardi alla lezione di Diritto Canonico. Ma intanto sentiva ancora quel brivido assurdo dentro alla pancia, in mezzo all’inguine; si precipitò in bagno che non ce la faceva più, ed ancora una volta sedutasi sulla tazza, con la gonna sollevata e le mutandine scese giù all’altezza degli stivali, si sfiorò fino a cadere di nuovo in un orgasmo irresistibile e irrefrenabile, al punto che dovette trattenere a stento le grida.
Si sistemò come meglio poteva, con la carne bianca delle cosce e dei glutei che le usciva da tutte le parti sotto alle mutandine ed in mezzo alla stoffa della gonna e della camicia. Raccolse tutta la poca lucidità di cui disponeva, ed uscì di casa trascinandosi indietro la sua borsa con i libri, senza nemmeno guardare l’orologio, con la certezza che avrebbe fatto tardi.
Marco continuò a tormentarla con diversi messaggi contenenti minacce e promesse di dolorose conseguenze.
Ma col lento trascorrere dei giorni, Hélène presto comprese che si trattava di un semplice gioco, e venuto meno quel timore iniziale per le sue possibili azioni, prese così a corrispondere a quello sciagurato scambio di insulti: con toni a tratti anche provocanti, e a tratti remissivi. La eccitava in modo davvero inaudito, il pensiero di dover essere punita da Marco.
Una doccia gelata Hélène la ebbe la sera della domenica, quando erano sedute al tavolo tutte assieme con Chiara e Paula; quest’ultima prese la parola e disse alla sua coinquilina bionda, con tono vagamente altezzoso: “Guarda che io lo so che tu ti vedi con Marco … e so anche che te lo scopi …”; Chiara diventò improvvisamente tutta rossa in viso, ma il vero autentico imbarazzo fu di Hélène, che tutto si aspettava tranne che questo.
Ebbe un brivido freddo e repentino sulla fronte, ed istintivamente abbassò lo sguardo. “Da quando lo vedi?”, riprese la ragazza argentina, con tono seccato e fermo.
Chiara si liberò il viso dalla frangia di capelli biondi, e con fare disinvolto le rispose: “Li ho visti tutti e tre una sera al rione, ci siamo divertiti un sacco, sarà stato tre settimane fa…”. “E poi …?”, insistette Paula. “E poi … niente … mi ha dato il numero e l’ho chiamato … tutto qua … vuoi sapere come l’abbiamo fatto!?! ...”. Paula si versò del vino rosso, mentre Hélène sentiva le gambe tremare per l’imbarazzo; era assai probabile che Marco, avesse potuto rivelare a Chiara di quel loro assurdo scambio di messaggi.
Paula cambiò immediatamente argomento, come se i restanti dettagli non le interessassero più di tanto. Guardò Hélène con un amabile sorriso, tra di loro non vi era mai stata una vera simpatia, e sorseggiando il suo bicchiere di vino, cordialmente le disse: “E tu guapa … quando te lo trovi un lavoro per pagare l’affitto? … da gennaio sono trecentotrenta euro al mese anche per te …”.
A quanto pare Chiara ne aveva già parlato con Paula, le due ragazze parevano sorprendentemente d’accordo tra di loro; la coinquilina bionda guardando Hélène con dolcezza, prese la parola a sua volta dicendo: “Ho visto che al bar dall’altro lato dell’Università … stanno cercando una cameriera per la sera… potresti provare”. Hélène non aveva ancora capito benissimo le parole di Chiara, e balbettando leggermente imbarazzata, le domandò: “… che cosa vuole dire … una cameriera per la sera ...”; allora Chiara riprese: “…alla sera quel locale diventa una birreria, una specie di ristorante … e stanno cercando una cameriera, potresti essere tu”.
“Se vuoi domani pomeriggio ti accompagno …”, le disse Paula con atteggiamento ancora più altezzoso; Hélène ebbe allora una reazione leggermente piccata, e guardando la ragazza argentina negli occhi, rivelando una personalità fino a quel momento sconosciuta alle sue due compagne d’appartamento, ribatté: “Conosco la strada, posso andarci da sola, grazie …”.
“Chiedi di Nadia”, le suggerì con la consueta cortesia Chiara, aggiungendo: “… è la moglie del proprietario ed è romena, ho già parlato anche di te con lei due giorni fa…”.
A quanto pare, le due ragazze avevano già combinato tutto quanto alla perfezione, senza rivelarle nulla. Così la scellerata Hélène, alla fine, si mise a dormire con non poca inquietudine quella notte: Chiara si vedeva con Marco, ed era così che la biondina aveva già messo le corna al suo Lorenzo; i due avevano probabilmente anche deriso, lo stupido scambio di messaggi con Hélène, e si trattava certamente di una incredibile vergogna.
In più, per quanto oramai ostili l’una verso l’altra, Chiara e Paula si erano adoperate assieme per trovarle un lavoro, fino al punto di parlare con la moglie del proprietario del locale, situato nell’ampio viale posto dinanzi all’Università.
Così il pomeriggio del diciassette di dicembre, vestita con un cappotto grigio un po’ demodé, e con i lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo, Hélène fece per la prima volta il suo ingresso nel Caffè che prendeva il nome dalla lunga strada adiacente, chiedendo direttamente della signora Nadia in mezzo ai pochi tavoli occupati da alcuni turisti.
Seduta dietro ad un’ampia barra di legno, ingombra di numerose bottiglie e di eleganti calici per il vino rovesciati, Nadia le sorrise; avrà avuto non oltre quarant’anni, e Hélène non s’aspettava affatto che ella potesse in verità, avere un aspetto piuttosto giovanile.
Chiamò a gran voce una cameriera bionda, di nome Cathy, chiedendo a quest’ultima di rimanere alla cassa per qualche istante; ed intimando a Hélène di seguirla, si aprì dinanzi a sé una vecchia porta di legno, che dava sul retro del locale, oltre la quale vi era celato, una specie di piccolo ufficio.
Quando furono dentro, Nadia la guardò da cima a fondo, e sorridendo le disse: “Come sei carina !!!... ma parli anche bene l’italiano ?!?...”; Hélène ristette, ma senza darle nemmeno il tempo per rispondere, la donna riprese il discorso: “Levati pure il cappotto … mettiti comoda …”. L’aiutò a spogliarsi, Hélène indossava un maglioncino grigio stretto sopra ad una gonna nera. Allora la donna la scrutò ancora una volta con attenzione, e sorridendo aggiunse: “Ti piace tanto la cucina italiana … vero?”, e si mise a ridere.
Hélène rispose alla prima domanda, senza dissimulare un certo imbarazzo: “... capisco l’italiano… ma devo migliorare molto per parlare bene …”; ma oramai la donna sembrava decisa, e scrutandola ancora una volta da cima a fondo, le domandò: “… ti hanno già spiegato come funziona qui da noi ?!? sai già quanto si guadagna? …”. Hélène fece segno di no con il capo, allorché la donna si appoggiò alla parete, e scandendo le parole col dito alzato, le disse: “Il contratto è tutto in nero, così intanto non paghi le tasse … poi lavori dal mercoledì alla domenica per sette ore, dalle sei all’una … e sono seicentocinquanta euro al mese”.
Era una cifra per niente male; non solamente Hélène si sarebbe potuta pagare l’affitto della casa, ma avrebbe anche avuto metà di quello stipendio per sé, per le sue esigenze personali; ad esempio, avrebbe potuto comperare una nuova borsetta, adorava alcuni modelli di pelle nera che aveva veduto nei negozi vicino casa. Oppure una elegante giacca di pelliccia, che andava molto di moda quell’anno.
Si schiuse in un ampio sorriso, e disse che era pronta a cominciare a partire dal dieci di gennaio, quando sarebbe ritornata in Italia, dopo le vacanze in Belgio.
La donna allora ricambiò il sorriso, e guardando il calendario le disse: “Ascoltami tesoro, è meglio che cominciamo dal mercoledì quattordici, però il sabato o la domenica prima passa a trovarci a quest’ora… ti pagheremo solamente metà mese per questa volta, e ti farò conoscere mio marito”.
Hélène non aveva mai lavorato in vita sua, e ristette un attimo pensierosa; poi domandò con candore: “… ma … ma non dobbiamo firmare nulla?”. La donna la prese sotto il braccio, ed accompagnandola con dolcezza fuori dal piccolo ambiente, prese il suo cappotto e le diede una delicata pacca sul sedere.
Si salutarono nei pressi dell’ampio bancone, con una stretta di mano, mentre il locale intorno a loro aveva improvvisamente preso vita, pieno di gente rumorosa e di luci colorate sparse dappertutto.
Ventottesimo episodio
Il volo che da Roma l’aveva condotta a Bruxelles era stato un autentico incubo; Hélène non amava l’aereo, e come se non bastasse, quella volta v’erano state non poche turbolenze lungo la rotta, durata ben oltre le due ore. Il rapido viaggio in treno fino alla stazione centrale, e di lì verso Liegi non era stato nulla rispetto a quell’autentico tormento. Trovò ad attenderla la madre Dominique, assieme a Benoît alla Gare des Guillemins, lungo l’affollata banchina piena di gente.
La città era completamente adornata di luci, con addobbi di tantissimi colori, e tutte le vetrine illuminate per il Natale.
Hélène provava in quel momento del sano piacere nel ritornare a casa; gli odori di zucchero filato e di dolci, caratteristici del suo paese, riempivano l’aria del lungo androne attraverso la stazione, e di tutta la zona pedonale che si estendeva fino a pochi isolati da lì. Si era coperta per timore del freddo, ma quel pomeriggio sembrava che tutto fosse stato predisposto a puntino per accoglierla.
Dovette rispondere a moltissime domande, raccontare tantissime cose, e per lunghi minuti Hélène si sentì nuovamente a casa propria, felice ed entusiasta come una bambina.
Giunti nella dimora in Rue Courtois, ella decise subito, che non avrebbe rivelato nulla del suo cambio di residenza, né del lavoro come cameriera che si era procurata solamente pochi giorni addietro. Non vi era alcuna ragione, per incorrere nella rabbia e nel disappunto di sua madre; la decisione di trasferirsi era davvero stupida ed ingiustificata, e la ragazzotta in cuor suo lo sapeva: e sua madre non gliela avrebbe certamente fatta passare liscia se solamente glielo avesse riferito.
Raccontò moltissime cose dell’Università, e diede prova di conoscere abbastanza bene anche l’italiano, quando il compagno di sua mamma le mostrò un volantino portato via con sé, con alcune indicazioni per raggiungere l’albergo dove avevano alloggiato assieme, per verificarlo.
Vi era un’inattesa armonia tra Hélène e sua madre, al punto che la ragazzotta si sentiva adesso cullata da un senso di profonda tenerezza e di felicità; pensava tra sé e sé, che la distanza era, in fondo, una bizzarra maniera per rafforzare i rapporti famigliari, laddove la vita quotidiana tendeva inevitabilmente ad incrinare le cose.
La conversazione tra Hélène e Bianca si concentrò immediatamente sull’Italia, e sulla vita di quel paese lontano; contrariamente a quanto fatto con sua madre, Hélène decise di non nascondere nulla alla sorellastra, della sua nuova abitazione, e delle divertenti serate al rione con le sue coinquiline. Bianca mostrò un vivo interesse verso quei racconti, era spesso segregata in casa, ma si capiva bene quanto ella fosse piena di curiosità per quel mondo così diverso e distante.
Passò il Natale, ed anche il Capodanno in modo sereno e spensierato: Hélène rivide tutte le sue amiche in varie circostanze, Edina, Nicole e le altre compagne dell’istituto delle suore. Quasi tutte loro si erano oramai fidanzate, ma questo Hélène già lo sapeva, e non era affatto una novità.
Non rivelò a nessuna di loro, assolutamente alcun dettaglio, del suo primo ed unico bacio alla francese: la maniera in cui Marco l’aveva trattata dopo quegli accadimenti, l’aveva persuasa del fatto che era stato tutto un semplice ed accidentale momento di follia. Nulla di cui andare felice ed orgogliosa, rispetto alle vicende leggiadre e piacevoli di tutte quante le sue compagne di scuola.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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